Dalla farmacia alla pittura “Anto” trasforma i sogni in energia visiva

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OCA,Enamel on XPS, 144 x 92 x 15 cm, A N T O

Antonella Mellini, chiamata ANTO, artista concettuale e performer, è nata in provincia di Milano nel 1973. Dopo una formazione scientifica e una laurea in Farmacia, si è dedicata all’arte, seguendo un percorso autonomo e sperimentale. Dal 2017 espone in contesti pubblici e privati, come il Musée des Beaux-Arts di Bruxelles (Bozar) e fiere internazionali tra cui Context Art Basel Miami e il FIG Festival di Bilbao. Nel 2019 GQ Magazine l’ha inserita tra i “7 giovani talenti dell’arte contemporanea”, e nel 2020 ho esposto a Lajatico accanto a Oliviero Toscani e Marco Lodola.

Dalla Farmacia alla pittura: quando hai cominciato a dipingere e perché?

Disegnavo ovunque, in macchina, al ristorante. A otto anni ho dipinto il mio primo olio: un cerbiatto nella neve. Quel Natale avevo ricevuto la mia prima scatola in legno con i colori a olio. Da allora ho iniziato a firmarmi “Anto” e non ho mai smesso. La fisica è parte delle mie opere: le parole che scrivo sotto lo smalto hanno una vibrazione, trasmettono energia, e si diffondono nell’ambiente.

Punti sulla grafica pop d’ immediato impatto visivo per visualizzare quali messaggi?

Mi piace cercare di rendere semplici anche i concetti e le tecniche più complesse. Questo si trasforma in un’immagine stilizzata e bidimensionale, che se approfondita apre un mondo di interpretazioni legate al mio background scientifico e letterario, visto che le mie opere sono da sempre frutto di visioni del subconscio o del dormiveglia. Uso sempre un unico colore di fondo, con immagini bianche e bordo nero tremolante. Una curiosità: oltre a mancare il disegno preparatore, seguo un procedimento inverso, comincio dal nero, poi il bianco e infine lo sfondo, e pur usando il pennello non si vede il segno della pennellata.

Quando hai cominciato ad esporre e chi ha creduto per prima nel tuo talento?

Il primo a vedere che nei miei acquarelli uscivo dai canoni tradizionali è stato Angelo Gorlini. Esprimevo il mio stile bidimensionale e flat anche con l’acquerello. Le mie opere vennero selezionate ed esposte a Fabriano, durante la Convention Internazionale con opere provenienti da tutto il mondo, al Museo della Carta di Toscolano e in Brasile. Ma la vera svolta è arrivata con il Bozar, il Museo delle Belle Arti di Bruxelles: inviai le mie opere ad acrilico e venni selezionata. Esponevo nelle stesse sale dove era stato esposto Keith Haring, e il pubblico pagava per entrare. Un sogno! Dal quel momento Memojacq Art Gallery di Bruxelles ha iniziato a seguirmi e a promuovere il mio lavoro a livello internazionale.

Che materiali usi e quali nuovi supporti hai introdotto nei lavori recenti?

Anche i materiali seguono il mio flusso onirico. Il mio amore per la bidimensionalità mi ha portato a sperimentare il plexiglass, che mi permette di dare profondità, e lo XPS, un materiale isolante usato in edilizia, che, in apparente contrasto, in realtà lascia passare l’energia delle mie parole scritte. Dopo averlo tagliato con una lama a caldo e aver scritto pezzi di romanzi, antiche leggende, sulle opere, ricopro il tutto con numerosi strati di smalto.

A Milano con quale gallerie lavori e chi sono i tuoi collezionisti?

A Milano la mia galleria di riferimento da anni è Manuel Zoia Gallery, una galleria concettuale dove mi posso opere esprimere liberamente, in un ambiente essenziale e riflessivo. I miei collezionisti sono persone sensibili, amanti dell’arte e del design. Di solito si innamorano dell’opera quando la vedono dal vivo e ne sentono l’energia. Questo succede spesso dopo le performance, quando si crea un contatto fisico, emozionale, diretto con l’opera.

Vendi abbastanza opere per vivere solo della tua creatività?

Il mio percorso è in evoluzione continua. Vivo con entusiasmo il presente, coltivo ogni giorno la mia creatività e vedo crescere le connessioni e le possibilità. La mia visione è positiva: credo profondamente che quando si lavora con autenticità, l’energia che si mette nelle opere torna indietro.

Quali sono i temi più ricorrenti nella tua ricerca artistica ?

Energia, trasmissione, connessione. Questi sono i temi che attraversano la mia ricerca. L’energia delle parole e come possa attraversare la materia, trasformarsi, arrivare a chi guarda e tocca, ed uno sguardo rivolto alla società, vista da un punto di vista diverso, sempre positivo.

Da dove arrivano le tue creature in bilico tra fragilità, vulnerabilità e autoaffermazione?

Le mie creature nascono dalle mie visioni nei momenti di subconscio, durante i sogni e al risveglio. Sono un mix del mio background culturale ed emotivo, ed è incredibile come le immagini mi risultino chiare al mattino, anche nei colori ben definiti. Una chicca: le volte che ho provato a cambiare colore per vari motivi, ho poi dovuto rifarle come le avevo sognate, perché non mi piacevano… quindi da molti anni seguo il mio istinto e attingo dall’inconscio.

Sei il soggetto delle tue opere ?

Molti me lo hanno fatto notare, quindi in maniera inconscia, sì, in un’opera: Mom, la mia prima opera in acrilico, è una donna con gli occhi grossi e chiusi, poi diventata una mia icona. Ha gli occhi chiusi come simbolo di apertura mentale, i capelli lunghi, la collana di perle, e sembra sorridere pur non avendo la bocca.

A quali artisti di ieri e di oggi o modelli ti ispiri?

Ho sempre amato Picasso e il suo essere libero dagli schemi. Amo la sua bidimensionalità, che rende le opere libere dal tempo e dallo spazio, e per questo eterne.

Cosa rappresenta per te la linea nera che anima le tue figure?

È il punto di partenza, da cui tutto nasce. È il mio momento preferito, quando il pennello intinto nel nero segue i miei pensieri e comincia a tracciare la figura. Inizio sempre da lì, anche se poi lo spettatore ha l’impressione che venga per ultimo. Il mio tratto è tremolante, volutamente lento, perché voglio assaporare il momento.

Qual è il commento più fastidioso che ti hanno fatto guardando le tue opere?

A volte capita che qualcuno si fermi solo all’estetica. Ma ogni opera è fatta per chi la sente, non per tutti. Anche i commenti più critici fanno parte del percorso: se qualcuno si ferma, guarda, e si pone delle domande, già lì l’opera ha agito.

Hai mai pensato ad illustrare un libro o disegnare un fumetto?

Sì, ho illustrato la copertina del libro “I narratori della modernità” di Gabriella Maldini, un saggio sulla letteratura francese dell’ottocento. La mia donna dagli occhi grandi è metà classica con ombrellino, metà contemporanea.

Cosa rispondi a chi commenta negativamente il tuo lavoro dalla grafica volutamente pop?

L’ arte è un’emozione, e ognuno la percepisce a modo suo. Il mio segno può sembrare pop per l’impatto visivo, ma nasce da una profondità onirica e concettuale. Se genera dialogo, anche attraverso il dubbio, è comunque positivo.

Che rapporto hai con la tecnologia , hai già sperimentato l’Intelligenza Artificiale nel tuo lavoro?

Amo la scienza e la fisica quantistica, ma non utilizzo l’intelligenza artificiale nella mia arte. Il mio processo creativo nasce dal subconscio, e al centro della mia arte c’è sempre l’essere umano, la sua energia, le sue connessioni. È da lì che arriva l’ispirazione.

A quale opera stai lavorando ?

Sto mettendo le mie opere sottovuoto, anche di grandi dimensioni, come i menhir. Mi piace il concetto di impacchettare l’energia delle mie opere: conservarla, proteggerla, ma allo stesso tempo lasciarla passare. È un gesto concettuale, infatti l’energia attraversa la materia, raggiunge chi guarda, chi tocca, chi vive l’opera. Il mio progetto è posizionare le mie opere in diversi punti del mondo, come antenne di energia umana, per creare una rete energetica positiva globale.

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